sabato 1 ottobre 2005

Caro Hillman: la recensione di Lilia di Rosa


Una conversazione fa cambiare direzione alle cose. E per ogni conversazione esiste un “verso”, un rovescio, un lato opposto. Io credo che sia proprio questo verso, questo esporre la visione opposta, il compito del nostro parlare….”

A cura di Luigi Turinese e Riccardo Mondo
Non credo ci sia forma migliore per aderire a questa affermazione di Hillman dello stile epistolare scelto da Riccardo Mondo e Luigi Turinese per dialogare proprio con lui, e con le diverse facce che ogni voce gli attribuisce: Maestro, Traditore, Eretico, Bricoleur…: Caro Hillman, edito da Borihghieri, è infatti un dialogo a più voci tra domande, riflessioni e commenti che diverse figure della psicologia analitica e della cultura italiana – artisti, filosofi – gli pongono direttamente sulla sua visione della psicologia, che è poi una visione del mondo e della vita. Ogni lettera racchiude il pensiero e la personalità di chi la scrive, rendendo più vivace ed acuta la risposta, e ancor più viva e dinamica la sua psicologia, che lungi dal proporsi come sistema ideologico, intende dialogare con la pluralità dei punti di vista, con i suoi oppositori così come con i suoi estimatori. Del resto, nulla del pensiero di J. Hillman ha a che fare con posizioni preordinate, se non quella di rimanere fedele a se stesso rispondendo con i sentimenti che ogni domanda o ogni dissenso gli suscita, con le immagini che le stesse gli evocano, più che un fornire spiegazioni razionali o motivazioni difensive. L’unica spiegazione possibile, e che credo dovrebbe rimanere sempre presente in chiunque accosti la sua opera, è forse rintracciabile in quella metafora delle perle riportata nella sua prima lettera: “…Perché la psicologia per me è aprire le ostriche e pulire le perle, cioè recuperare e portare alla luce e indossare quotidianamente la vita dell’immaginazione, che non può redimere la tragedia, non lenire la sofferenza, ma può arricchirle e renderle più tollerabili, interessanti e preziose”. Con questa affermazione Hillman spiega non solo la sua difficoltà ad intendersi con il mondo accademico, ma racchiude il senso più profondo e più vitale del suo mondo che non può essere colto se non come dono di bellezza e non come sistema teorico cui ricondursi per rimanerne soffocato, nemmeno quello della psicologia analitica cui si è soliti avvicinarlo. Del resto, è questa libertà di “infilare le perle” ognuno a modo proprio l’aspetto più intrinseco alla matrice junghiana, a quel processo di individuazione che dovrebbe condurre ogni uomo ad incarnare perfettamente sé stesso. Inoltre, con le stesse parole, risponde inequivocabilmente a chi, preoccupato, teme che in tanta bellezza si possa smarrire il senso del tragico, o quanto meno se ne possa perdere in profondità e spessore (A. Romano).Certo non è facile accostare il metodo mercuriale di Hillman, che non vuole stare da qualche parte a combattere, ma seguire un sentiero nel groviglio della psiche… nelle sue profondità ancestrali dove la bile nera della malinconia non è sostanza fisica ma umore dell’anima che può essere migliorata con musica e parole indirizzate agli dei planetari (risposta a M. Trevi e M. Migliorati).
Pertanto il libro si presenta come un dialogo serrato tra le due forme del pensare: il pensare indirizzato, e il sognare e fantasticare, intercalato dai brevi quanto accurati commenti dei due curatori che, nell’intenzione di mantenere un’unità generale e un‘integrazione di senso tra le più voci, assolvono ai compiti dell’Io, alle sue capacità di unificare e sintetizzare, forse cercando di mantenere accesa quella “lanterna magica” che Giovanni Rocci nella sua lettera auspica come necessaria per non perdersi nell’abisso dell’immaginazione.
Infine, se il testo offre la possibilità di attingere alla “creativa distorsione” che Hillman ha fatto dell’opera junghiana, è pure vero che il pensiero originario, si ritrova attraverso questo scambio di ammirate riflessioni critiche, quanto mai rivitalizzato e ringiovanito, in virtù di quel principio secondo il quale ciò che vive è sempre sottoposto a tradimenti e revisioni e, proprio per questo, capace di attivare bellezza e fantasia.
Per concludere, un sincero ringraziamento ai due curatori di questo libro che da perfetti gentiluomini siciliani, spinti dall’audacia del loro daimon, hanno attraversato l’oceano di una non certo facile avventura letteraria, regalando alla psicologia un ricco contributo tutto siciliano, dal ritratto in copertina di F.Battiato, a quella strofa conclusiva di Manlio Sgalambro che nella bellezza del vivere per nessuno scopo, nel vivere per vivere trova forse la più densa celebrazione del pensiero hillmaniano.

Recensito su Psicologi & Psicologia in Sicilia, anno VIII, n° 3, Ottobre 2005

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