mercoledì 1 dicembre 2004

La recensione: C.G.Jung. Immagine e parola.


a cura di Aniela Jaffé
Magi Edizioni
Roma 2003
pp. 242
In un panorama culturale poco incline alla valorizzazione delle radici storiche della psicologia analitica, ogni operazione editoriale che miri a preservare tracce della memoria si presenta decisamente innovativa. Si è quindi grati alle Edizioni Magi per la traduzione in lingua italiana di questo emozionante omaggio a Carl Gustav Jung, curato daAniela Jaffé, edito in Germania nel 1977 con il titolo originario C. G. Jung. Bild und Wort e pubblicato quasi contemporaneamente in lingua inglese dalla Princeton University Press, Princeton (NJ, USA). Sono trascorsi appena ventisei anni per averne una traduzione in lingua italiana e questo è un altro elemento a favore di questa operazione editoriale. Quanto detto aprirebbe un complesso discorso sul rapporto della psicologia analitica odierna con la propria produzione storiografica e documentaristica, ma torniamo al libro che è oggetto della nostra recensione.
La quarta di copertina recita che “per gli junghiani questo volume è come un album di famiglia le cui immagini consentono di evocare atmosfere, persone, oggetti, pensieri, luoghi in qualche modo noti”. Quanto affermato ci pare condivisibile; per poterne gustare la proposta è adeguata la lettura intimistica di chi rilegge documenti e sfoglia lettere e foto di un proprio antenato.
Al primo contatto con il libro esso si presenta atipico ed inconsueto, il formato e lo stile grafico lo rendono adeguato soprattutto ad una consultazione immaginale ed evocativa, intimamente fedele al valore che Jung consegnava all’immagine psichica. Il volume infatti è riccamente illustrato da 205 immagini, tra le quali vi sono 11 dipinti dello stesso Jung. L’originalità consiste proprio nella sintesi tra le molte immagini – ritratti fotografici, dipinti, manoscritti, luoghi e scene di vita quotidiana – tratte dalla mostra organizzata a Zurigo in occasione del primo centenario della nascita del Maestro (1975), e i testi, ricavati in larga parte da Ricordi, sogni, riflessioni, raramente dagli scritti scientifici delle Opere e da lettere, alcune delle quali inedite. Su questa scia potremmo dire che, al contrario della norma, ogni capitolo affronta un tema dove testi essenziali ed evocativi corredano questa biografia per immagini.
Fedele al progetto celebrativo del centenario, l’opera è un omaggio ricco di sentimento a Carl Gustav Jung e nel leggerlo si avverte, in chi l’ha ideato e realizzato, la fedeltà e la congruenza intellettuale rispetto al modello di ricerca proposto dal fondatore della Psicologia Analitica. Il limite è l’evidente elemento agiografico che rischia di non poter attrarre, tra gli addetti ai lavori, se non chi ama profondamente Jung e la Psicologia Analitica.
Disinteressati rimarranno i “cercatori delle ombre di Jung”, in quanto il volume non presenta un impianto critico e dialettico e non consente quegli insights decostruttivi, che, se abusati, rischiano – come ricorda il detto popolare – di “buttar via il bambino con l’acqua sporca”.
Il libro è composto da diciannove capitoli, un’appendice con la descrizione della personalità di Jung, una cronologia e un glossario. È un procedere temporale da prima della nascita al commiato del Maestro dalla Terra; la matassa della sua vita pare dipanarsi finalisticamente tramite la lente del principium individuationis.
Dal rapporto con gli antenati, si procede agli anni della giovinezza e degli studi, ai primi interessi per l’occultismo e la parapsicologia, al periodo alla clinica Burgholzli, all’amicizia e la rottura con Freud, al confronto con l’inconscio. Questo capitolo drammatico ed intenso si pone come perno centrale nell’opera preannunciando il dipanarsi dei successivi capitoli, rivolti ai temi fondamentali dello Jung maturo: Mandala, Alchimia, Paracelso, Psicoterapia, Traslazione. È sempre affascinante rievocare la grande erudizione di Jung; quest’ultima gli permetteva la conoscenza del dispiegarsi della vita psichica in territori inimmaginabili all’uomo comune. Ad esempio, sul tema alchemico scriverà “L’alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l’intera letteratura classica dell’alchimia” (pag. 99).
Ma come ci ricorda la Jaffé in appendice, Jung dedicava pari intensità libidica sia alle esperienze interiori sia all’incontro con eventi esteriori che insieme formavano un indissolubile unicum.
Per questo motivo sono particolarmente affascinanti i capitoli Famiglia e casa (“quando ero occupato con le mie fantasie, mi serviva un punto d’appoggio in ‘questo mondo’”); quello dei Viaggi (il capitolo più ampio del libro) e quello di Eranos.
Eranos si traduce in “festa condivisa” ed in questo clima si realizzarono i Convegni ad Ascona sul lago Maggiore. A pagina 186 è possibile osservare il tavolo attorno al quale si riunivano quotidianamente gli oratori per il momento conviviale. Quando Jung vide questa foto dove nessuno è visibile osservò: “L’immagine è perfetta. Sono tutti lì”. Ricordiamo che a quel tavolo circolare erano presenti studiosi delle più svariate discipline scientifiche oltre che Jung e i suoi allievi.
Questo importante crocevia culturale dell’epoca rendeva concreta la ricerca junghiana di una interdisciplinarietà scientifica sotto il comune tetto dell’Anima Mundi.
Il successivo capitolo sulla Torre rende evidente quanto l’opera “dell’architetto” Jung sia stata una condensazione materiale della sua ricerca scientifica, appunto “una professione di fede in pietra”, come egli amava definirla. Questi capitoli paiono presentare quegli elementi del pensiero di Jung che diverranno una traccia per quella psicologia analitica che si orienterà per sviluppare “una psicologia del profondo dell’estroversione” (cfr.Hillman).
Gli ultimi due capitoli riguardano il tema della religione e della morte e ci mostrano le immagini di un uomo vecchio e carico di saggezza che si confronta con i grandi temi dell’esistere.
Scriverà in una lettera“ La mia raison d’ètre consiste… nel confronto con l’ente indefinibile che è chiamato Dio” (pag. 209).
Difficile commentare o aggiungere altro, il libro va riposto nella libreria e ogni tanto ripreso per meditarci su, senza pregiudizi.
Recensione pubblicata su “Studi Junghiani”, n. 20, FrancoAngeli, Luglio – Dicembre 2004

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